martedì 27 aprile 2010

BENEDETTO XVI IL GRANDE INQUISITORE

Era un’anonima giornata di ottobre, quando il Panzerkardinal (oggi Benedetto XVI), invidioso del successo televisivo, editoriale e mediatico di Drewermann a livello internazionale, nel 1991 lo sospende dall’insegnamento di Storia della Religione presso la Facoltà cattolica dell’Università di Paderborn (Germania-Westfalia). Drewermann, autore di una settantina di testi, tradotti in 14 lingue, continuò ad ogni modo la sua attività come psicoterapeuta e come docente di Sociologia e Antropologia culturale presso la stessa Università. Il suo errore sarebbe stato, secondo la Congregazione per la dottrina della fede, quello di aver interpretato non in maniera storica e letteraria i Testi Sacri, ma di aver introdotto in essi concetti mediati dal simbolismo archetipico della psicologia del profondo di Jung e dalla psicoanalisi di Freud, nonché dalle opere letterarie e poetiche e dalle scienze neurologiche. Questa esegesi lo aveva condotto a riconoscere quello che ogni intellettuale onesto avrebbe sostenuto, contro ogni dogma vaticanesco, ovvero che le cosiddette verità storiche del cattolicesimo non sono altro che una forzatura. Esse sono miti e racconti che hanno un valore puramente simbolico, dunque un valore non reale ma di un messaggio che va al di là della lettera. Insomma, se si parla di Cristo che morì a 33 anni, quel numero rimanda, in verità, al percorso esoterico (le 33 vertebre della spina dorsale) che egli fece per liberarsi del suo vecchio modo di pensare (la morte), mutato poi nel nuovo modo di esistere (la vita nell’amore).
Ma ciò che ancor più mandò su tutte le furie il Prefetto e la Chiesa Nera che gli sta dietro (Opus Dei), sono le posizioni di Drewermann su celibato sacerdotale, aborto, ordinazione delle donne e morale sessuale, i soliti dilemmi che gli omofobi e sessuofobi non vogliono neppure sentir nominare, per non cadere in uno sconforto esistenziale che li costringerebbe a riconoscere l’inutilità della loro esistenza e della loro cattiveria, funzionale soltanto a coprire i problemi irrisolti di apostoli falliti. Ciò che scioccò oltremodo la Casta Romana fu il libro, pubblicato nel 1991, "Chierici: psicodramma di un ideale" , dove l’autore denuncia i meccanismi di rimozione che operano a livello inconscio nei sacerdoti. Il quadro emerso dalla sua ventennale attività di psicoterapeuta di numerosi religiosi è a dir poco preoccupante: rimozione e compensazione portano il seminarista ad entrare nell’apparato chiesastico, che rappresenta per lui una protezione per la sua insicurezza e debolezza psicologica ad affrontare il mondo reale. E se, non estranea alle ormai poche vocazioni è l’incapacità clericale di risolvere problemi legati alla sessualità, viceversa, la vocazione salvifica è il risultato di un viscerale attaccamento alla madre, perverso ed immaturo, come è stato rilevato nel caso di Wojtyla. La Chiesa-Madre diviene così una sorta di utero che proteggerebbe dalla necessità di trovare la soluzione alle proprie pulsioni sessuali. Di qui, il voto di castità e di obbedienza che permette al religioso di rimuovere il problema, facendo finta che non esista più (perciò, tanti casi di pedofilia?).
Quando l’arcivescovo di Paderborn diede l’annunciò alla stampa della sospensione di Eugen Drewermann, affermò che “dopo anni di profonde preoccupazioni per insegnamenti di dubbia armonia con il credo della Chiesa” si era deciso di sospenderlo a tempo indeterminato e “fino a nuovo ordine” . E Drewermann rispose: “È un provvedimento grottesco che monsignor Degenhardt ha adottato su ordine del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Ratzinger, definendo il provvedimento come “una degenerazione della teologia in un’ideologia del potere amministrato che si autopropone come verità”. Infatti la sospensione era stata accompagnata da minacce di scomunica, che non toccavano minimamente lo spirito umano e libertario del teologo tedesco che replicò: “Come prete sono impegnato nella verità, non nella tranquillità”. Perciò bisogna domandarsi “se Dio è la forza che rende libero l’uomo, o la base di un regime assolutista” e trarne le dovute conseguenze.

La gerarchia Ekklesiastica prenda atto dei suoi eterni errori e muti radicalmente, nei fatti e non solo a chiacchiere, il suo modo di operare. Impari da ciò che Giordano Bruno, quattro secoli dopo il suo “abbrugiamento”, Le manda a dire per bocca di Drewermann:

“La Chiesa si è chiusa per tanto tempo al puro respiro del pensiero, che i suoi pozzi e le sue gallerie sono piene delle marcescenze di secoli; è sufficiente un’unica scintilla per far saltare per aria come una polveriera tutta questa dottrina di autoistupidimento imposto dall’alto” .

da: LA RELIGIONE CHE UCCIDE
COME LA CHIESA DEVIA IL DESTINO DELL’UMANITÀ
(Nexus Edizioni), maggio, 2010.
544 pagine, 167 immagini, € 25

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lunedì 19 aprile 2010

FUORI DELLA CHIESA NON C'E' SALVEZZA???

“Extra ecclesiam nulla salus” (“Fuori della chiesa non c’è salvezza”) . Questa frase dei primi padri della chiesa è stata ripetuta da Ratzinger come dogma irrinunciabile del fondamentalismo cattolico. Egli, partendo da questa premessa (tutta “sua”, senza alcuna base né storica, né scientifica se non la sua tradizione) attacca direttamente l’Umanesimo, il Rinascimento, l’Illuminismo, la scienza e la medicina moderne in quanto causa di irresponsabili sciagure per l’uomo contemporaneo. Considera la filosofia occidentale come una visione del mondo, tendente a calpestare la vita umana, mediante l’esaltazione del “libertinaggio” e della libertà personale e coscienza individuale, le quali devono essere eliminate nel più completo abbandono alla sua Chiesa, che ha compreso tutti i misteri del Cielo e della Terra. Insomma, noi miscredenti siamo imbecilli mentre lui, insieme con tutta la cricca degli “intellettuali” clericali, rappresenterebbe la punta di diamante del pensiero superiore. Ciò significa che se un abitante del pianeta non aderisse alla chiesa cattolica non si salverebbe. Bell’amore per gli altri. Quanta ipocrisia si nasconde dietro certo compassionevole razzismo, che giudica dietro le quinte tutti i non cattolici come “poverini”. Quanti falsi proclami di amore verso il genere umano. Quanta doppiezza verso i portatori di differenti valori di religiosità. Quanta ironia nei confronti di diverse concezioni di vita o verso le altre centinaia di “chiese” non cristiane che non hanno bisogno di offendere per sentirsi detentori della propria verità: se non ti inginocchi davanti ai monsignori, se non ubbidisci ad ogni loro cenno come un cane randagio che si accuccia sulle scalinate della sua casa, dove un falso padrone ha estromesso il vero, sarai condannato alle pene dell’inferno.
Friedrich Nietzsche gli avrebbe risposto: “Tutto il lavoro del mondo antico per preparare una civiltà scientifica e libera ci è stato [violentemente] defraudato dal cristianesimo” . Dal canto suo Emile Cioran avrebbe detto: “Essere liberi è sbarazzarsi per sempre dell’idea di ricompensa, e rinunciare non soltanto a questo mondo e a tutti i mondi, ma anche alla salvezza, e frantumarne persino l’idea, questa catena fra le catene” . Affranchiamoci pertanto dal concetto di divieto e di premio e saremo finalmente svincolati dalla morte, tornando a viaggiare felici nel gioco eterno della vita in “Un altro giro di Giostra” , così come canta uno dei romanzi di Tiziano Terzani.
Riconquistiamo l’eroe che c’era dentro di noi all’epoca dei celti e dei romani precristiani. Allontaniamo la paura delle altre dimensioni, visto che probabilmente stiamo vivendo in molti altri universi contemporaneamente, e questa è la proiezione ortogonale delle altre, molto più eteree, molto più decenti. Scacciamo i demoni della paura che ci imprigionano, rendendoci schiavi in questa e nelle differenti bolle spaziotemporali. Siate orgogliosi del vostro modo di essere e di pensare. Non demandate ad altri la vostra vita terrena, la vostra dignità, il vostro reale empito universale di unione col Tutto e con Tutti. Come appuntò lo scrittore e poeta statunitense Herman Melville (1819-91), autore del romanzo avventuroso Moby-Dick:

“La fede, come uno sciacallo, si nutre frugando tra le tombe, e proprio dalle spoglie di questi dubbi raccoglie la sua speranza più vitale”.

da: LA RELIGIONE CHE UCCIDE
COME LA CHIESA DEVIA IL DESTINO DELL’UMANITÀ (Nexus, maggio, 2010)

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domenica 18 aprile 2010

IL TESTAMENTO BIOLOGICO

Hanns Küng (19.3.1928) è un teologo svizzero d’avanguardia,
noto internazionalmente per i suoi numerosi scritti critici nei confronti della Chiesa di Roma.
Da poco ha ripubblicato in Italia "La dignità della morte. Tesi sull’eutanasia", Roma, Datanews, 2007.

A proposito dell’eticità delle cure mediche, Küng afferma nel suo libro Sulla dignità del morire:
«Che l’uomo non abbia l’obbligo di conservarsi in vita attraverso mezzi eccezionali è un classico assioma della teologia morale. Nessun paziente in ogni caso ha il dovere etico di sottoporsi a qualsiasi terapia e a qualsiasi operazione che prolunghi la sua vita. (…) È diritto dei pazienti decidere liberamente se sottoporsi o meno a determinate cure mediche. Nessun medico ha il dovere di prolungare a ogni costo la vita umana, andando così incontro a una prolungata agonia».
E poi, ancora: «Nessun uomo deve essere costretto a continuare a vivere a ogni costo. Il diritto di continuare a vivere non può diventare un dovere, il diritto alla vita non equivale a una coercizione a vivere (...). Ci sono tanti casi terribili, in cui è ben comprensibile che il malato arrivi a dire: “La mia condizione è intollerabile. Il mio desiderio più grande è quello di poter morire...”. Come può, in tali casi, un uomo arrogarsi il diritto di decidere della vita e della morte di un altro, costringendolo a continuare a vivere e a soffrire? Certamente tale desiderio di morire da parte del paziente costituisce per il medico solo la condizione necessaria, ma non sufficiente, per motivare un’eutanasia attiva: il motivo fondamentale deve essere solo il “bene” del paziente, così come egli stesso (e non il medico o un’altra persona) lo concepisce».
Inoltre: «la pratica dell’eutanasia spetta esclusivamente al medico, che è in grado di procurare al paziente una morte serena, non infelice né dolorosa; (…) il medico deve consigliarsi con un collega (esterno? e i parenti più stretti?) circa la serietà della richiesta, la correttezza della valutazione della condizione del paziente e il responsabile compimento delle pratiche mediche terminali».
Parole scottanti per il nostro governo di centro-destra, specialmente dopo il caso Eluana Englaro. Parole ancora più scottanti perché provengono da uno dei maggiori esperti di teologia a livello internazionale. Parole che, anche se ripetute nell’intervista che Lucia Annunziata gli ha fatto al TG2 (20.2.2009), sono passate inascoltate da parte di coloro che fanno i decreti durante la notte per soddisfare i diktat e le ingiunzioni dittatoriali del Vaticano!
Le precisazioni del “teologo scomodo” non lasciano alcun dubbio sul rapporto fra Chiesa e Stato:
- H. Küng: «Ci sono due aspetti: l’aspetto giuridico e l’aspetto teologico. L’aspetto giuridico è che in uno stato democratico, anche la chiesa, le autorità ecclesiastiche, devono sottostare alle leggi, devono obbedienza alla corte costituzionale e in questo senso penso che la questione sia decisa, e non capisco perché la chiesa metta sotto pressione il primo ministro. Io spero che il Capo dello Stato rifiuti un tale intervento. Veniamo alla questione della teologia morale. Io l’ho scritto in questo libro Sulla dignità del morire riguardo ad una eutanasia indiretta conseguita mediante la sospensione dei mezzi di sostentamento artificiale della vita: l’uomo non ha l’obbligo di conservarsi in vita attraverso mezzi eccezionali; questo è un classico assioma della teologia morale. Infatti è questo che ho imparato come studente alla Pontificia Università Gregoriana, cioè che nessuna persona sia forzata ad applicare mezzi straordinari, e in questo caso è molto chiaro evidentemente, la ragazza stessa, la povera ragazza, non può decidere, però suo padre può e deve decidere».
- L. Annunziata: «Questo significa che lei è in disaccordo con quanto il Vaticano sostiene su questo caso?».
- H. Küng: «Mah.. c’è un decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1980 dove è riportato espressamente tutto ciò che ho detto poc’anzi. Non credo quindi, su questo punto, di essere in disaccordo con la dottrina ufficiale».

Ma gli scontri dottrinali del teologo svizzero contro gli opportunismi della casta vaticana non sono poi tanto recenti.
Già dal 1970 Hanns Küng dichiarò inammissibile l’infallibilità papale. Perciò ricevette dei richiami nel 1975 dalla Congregazione per la dottrina della fede. A metà dicembre del 1979, in seguito all’inasprirsi dei toni della contestazione, la Congregazione dichiarò il professore colpevole di “deviazionismo” dalla “verità integrale della Chiesa, revocandogli la missio canonica (l’autorizzazione all’insegnamento della teologia ufficiale). Sembra che, secondo voci autorevoli della curia vaticana e dell’arcidiocesi bavarese, questa prima condanna, avvenuta durante il pontificato di Giovanni Paolo II, una condanna di alto valore simbolico perché rivolta ad uno dei più autorevoli personaggi del pensiero progressista cattolico, sia stata voluta ed orchestrata da Ratzinger, collega di Küng a Tubinga a cavallo dei moti del ‘68. A quell’epoca l’aula del futuro papa era semivuota, mentre quella del professore stracolma, poiché questi portava avanti idee innovative che hanno sempre conquistato i cuori dei giovani.
Non a caso Ratzinger fu compiaciuto per il provvedimento, quando affermò al riguardo: “Il credente cristiano è una persona semplice, e i vescovi devono salvaguardare la loro fede dal potere degli intellettuali” . Ma il testo che maggiormente produsse diatribe a non finire fu il programma di restaurazione medievale esposto nel libro Rapporto sulla Fede del 1985, laddove Ratzinger, invoca e riafferma, di concerto con l’Opus Dei, l’assoluto potere della Casta Ekklesiastica, per eliminare qualsiasi residuo di apertura democratica voluta da Giovanni XXIII nel Concilio Vaticano II. In riferimento al Rapporto, Küng appuntò: “Mi rattrista e insieme mi fa arrabbiare quello che negli anni Ottanta sta avvenendo nella nostra Chiesa, dopo le tante speranze suscitate negli anni Settanta dall’esplosione conciliare”. In particolare egli scrisse, senza mezzi termini: «Joseph Ratzinger ha paura. E come il Grande Inquisitore di Dostoevskij, niente egli teme più della libertà. Ritorna la vecchia musica di Roma: a Ratzinger il potere curiale appare di nuovo un privilegio divino; la critica e l’opposizione non sono previste. (…) Il “Prefetto della fede” difende la necessità della scomunica che, mai pronunciata contro delinquenti “cattolici” ben noti come Adolf Hitler e i dittatori latino-americani, qui viene chiaramente minacciata nei confronti dei teologi cattolici critici (…)
Non si brucia più nessuno; ma, se è necessario, si è pronti ad annientare psichicamente e professionalmente. (…)
I metodi sono i soliti: la demonizzazione dell’avversario come causa di confusione, che si permetterebbe di turbare il sacro ordine. (…) Non di rado il ricorso ad ambigue contrapposizioni e a falsi fronti, che avvertono ovunque odore di eresia. Si riflette qui l’arroganza del potere: ora l’ex professore nega dall’alto qualsiasi autorità teologica alle conferenze episcopali (scomode): (…) crede di potersi presentare al mondo come la norma incarnata dell’ortodossia cattolica: “La vèritè catholique c’est moi [La verità cattolica sono io]. (...)
Viene in mente l’abbastanza spesso proclamata simpatia del Vaticano per i regimi cattolici totalitari e per il concordato con Hitler (1933), che ancora oggi assicura alla gerarchia tedesca, giuridicamente e finanziariamente, una intoccabile posizione di potenza nella società, quasi uno ‘Stato nello Stato’. (…) Il tragico silenzio e l’accondiscendenza dell’episcopato tedesco nei confronti del nazismo (…)» .
L’Inquisizione, pertanto, ha cambiato soltanto i metodi e il nome, ma non certo i propri fini e i propri principi: “procedura segreta, rifiuto della visione degli atti, dell’assistenza giuridica e dell’appello: la stessa autorità accusa e giudica. È tornata a lavorare – continua Küng – a pieno regime, specialmente contro i moralisti nord-americani, i dogmatici dell’Europa centrale, i teologi latino-americani e africani della liberazione”. Egli lamentava, oltretutto la pericolosissima ingerenza dell’Opus Dei non solo a livello dottrinario, ma anche finanziario (era ancora in corso lo scandalo IOR-Marcinkus-Calvi-Sindona): “viene favorita con tutti i mezzi l’organizzazione segreta spagnola Opus Dei, un’istituzione teologicamente e politicamente reazionaria, immischiata nelle banche, nelle università e nei governi, che ostenta tratti medievali e controriformistici e che questo Papa [Wojtyla], il quale le era vicino già a Cracovia, ha sottratto al controllo dei vescovi [nominandola Prelatura personale, ossia un’organizzazione segretissima che rende conto unicamente al Papa]”.
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ABBIAMO AVUTO I PEGGIORI MAESTRI DA DUEMILA ANNI A QUESTA PARTE

Se il Governo della Chiesa fosse restato ad Avignone, così come accadde per miracolo per circa settant’anni dal 1309 al 1377, senz’altro l’Italia di oggi sarebbe guidata da idee meno ipocrite, compromissorie ed indegne. Abbiamo avuto per duemila anni i peggiori maestri che ci fossero a disposizione nel mondo. Questi sono i risultati. Non esistono più cittadini liberi, ma un gregge di abulici accondiscendenti che guarda alla raccomandazione parentopola come l’unica via d’uscita per la loro sopravvivenza terrena. Una nazione ridotta ad aia e porcilaia per ogni genere di sopruso perpetrato dai ricchi di ieri e di oggi e dalla casta dei governanti, sempre in combutta confessionale con i monsignori ed i prelati di ogni risma, il cui principio è sempre stato: bisogna perdonare i ricchi imprenditori che ti sfruttano e, invece della pensione, ti regalano un tumore.
Ah se il governo della chiesa cattolica fosse rimasto ad Avignone, ma i Francesi sono un altro popolo: non sopportano le angherie delle sottane bianche e nere (Gesuiti ed Opus Dei). Quante volte abbiamo sognato di svegliarci senza avere più quella cloaca massima al di là del Tevere (dove è successo di tutto, dai reati finanziari agli omicidi, dalle pianificazioni belliche alla pedofilia). Quante volte abbiamo pensato che, magari, i dignitari della Santa Sede potessero ricevere per “meriti sessuali” una giusta cittadinanza americana. “Si può fare?”. Macchè! La verità è che nessuno li vuole, e tuttavia essi s’impongono con un fare minaccioso, al cui confronto le dittature comuniste sono Alice nel Paese delle Meraviglie. Ma la loro persuasione è più che occulta e nasce da quando ci battezzano nelle loro fetide chiese che sorgono ad ogni angolo di un paese il cui spirito è occupato da una Tirannide Pontificia che fa parte del DNA nazionale, ormai marchiato a fuoco dall’inginocchiatoio, dai turiboli e dai fumi degli incensi. E si continua a parlare di debito pubblico? Se si rastrellassero ogni anno i 13 miliardi di euro che un sottogoverno confessionale continua a donare alla Città del Vaticano, sottraendoli con la menzogna dalle tasche della povera gente, se si recuperassero tutti gli introiti dell’ICI (il valore degli immobili vaticani ammonta per difetto a 30 miliardi di euro), la smetteremmo di parlare di debito pubblico (altra bufala) , di crisi delle pensioni, di tagli ai rinnovi contrattuali, alla sanità, alla scuola pubblica, all’arte, alla musica e allo spettacolo… Che misero spettacolo di politici ingordi che raschiano fino in fondo al loro pastone per maiali! L’aristocrazia francese prerivoluzionaria era molto più benevola!
da: LA RELIGIONE CHE UCCIDE
COME LA CHIESA DEVIA IL DESTINO DELL’UMANITÀ

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