domenica 18 aprile 2010

IL TESTAMENTO BIOLOGICO

Hanns Küng (19.3.1928) è un teologo svizzero d’avanguardia,
noto internazionalmente per i suoi numerosi scritti critici nei confronti della Chiesa di Roma.
Da poco ha ripubblicato in Italia "La dignità della morte. Tesi sull’eutanasia", Roma, Datanews, 2007.

A proposito dell’eticità delle cure mediche, Küng afferma nel suo libro Sulla dignità del morire:
«Che l’uomo non abbia l’obbligo di conservarsi in vita attraverso mezzi eccezionali è un classico assioma della teologia morale. Nessun paziente in ogni caso ha il dovere etico di sottoporsi a qualsiasi terapia e a qualsiasi operazione che prolunghi la sua vita. (…) È diritto dei pazienti decidere liberamente se sottoporsi o meno a determinate cure mediche. Nessun medico ha il dovere di prolungare a ogni costo la vita umana, andando così incontro a una prolungata agonia».
E poi, ancora: «Nessun uomo deve essere costretto a continuare a vivere a ogni costo. Il diritto di continuare a vivere non può diventare un dovere, il diritto alla vita non equivale a una coercizione a vivere (...). Ci sono tanti casi terribili, in cui è ben comprensibile che il malato arrivi a dire: “La mia condizione è intollerabile. Il mio desiderio più grande è quello di poter morire...”. Come può, in tali casi, un uomo arrogarsi il diritto di decidere della vita e della morte di un altro, costringendolo a continuare a vivere e a soffrire? Certamente tale desiderio di morire da parte del paziente costituisce per il medico solo la condizione necessaria, ma non sufficiente, per motivare un’eutanasia attiva: il motivo fondamentale deve essere solo il “bene” del paziente, così come egli stesso (e non il medico o un’altra persona) lo concepisce».
Inoltre: «la pratica dell’eutanasia spetta esclusivamente al medico, che è in grado di procurare al paziente una morte serena, non infelice né dolorosa; (…) il medico deve consigliarsi con un collega (esterno? e i parenti più stretti?) circa la serietà della richiesta, la correttezza della valutazione della condizione del paziente e il responsabile compimento delle pratiche mediche terminali».
Parole scottanti per il nostro governo di centro-destra, specialmente dopo il caso Eluana Englaro. Parole ancora più scottanti perché provengono da uno dei maggiori esperti di teologia a livello internazionale. Parole che, anche se ripetute nell’intervista che Lucia Annunziata gli ha fatto al TG2 (20.2.2009), sono passate inascoltate da parte di coloro che fanno i decreti durante la notte per soddisfare i diktat e le ingiunzioni dittatoriali del Vaticano!
Le precisazioni del “teologo scomodo” non lasciano alcun dubbio sul rapporto fra Chiesa e Stato:
- H. Küng: «Ci sono due aspetti: l’aspetto giuridico e l’aspetto teologico. L’aspetto giuridico è che in uno stato democratico, anche la chiesa, le autorità ecclesiastiche, devono sottostare alle leggi, devono obbedienza alla corte costituzionale e in questo senso penso che la questione sia decisa, e non capisco perché la chiesa metta sotto pressione il primo ministro. Io spero che il Capo dello Stato rifiuti un tale intervento. Veniamo alla questione della teologia morale. Io l’ho scritto in questo libro Sulla dignità del morire riguardo ad una eutanasia indiretta conseguita mediante la sospensione dei mezzi di sostentamento artificiale della vita: l’uomo non ha l’obbligo di conservarsi in vita attraverso mezzi eccezionali; questo è un classico assioma della teologia morale. Infatti è questo che ho imparato come studente alla Pontificia Università Gregoriana, cioè che nessuna persona sia forzata ad applicare mezzi straordinari, e in questo caso è molto chiaro evidentemente, la ragazza stessa, la povera ragazza, non può decidere, però suo padre può e deve decidere».
- L. Annunziata: «Questo significa che lei è in disaccordo con quanto il Vaticano sostiene su questo caso?».
- H. Küng: «Mah.. c’è un decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1980 dove è riportato espressamente tutto ciò che ho detto poc’anzi. Non credo quindi, su questo punto, di essere in disaccordo con la dottrina ufficiale».

Ma gli scontri dottrinali del teologo svizzero contro gli opportunismi della casta vaticana non sono poi tanto recenti.
Già dal 1970 Hanns Küng dichiarò inammissibile l’infallibilità papale. Perciò ricevette dei richiami nel 1975 dalla Congregazione per la dottrina della fede. A metà dicembre del 1979, in seguito all’inasprirsi dei toni della contestazione, la Congregazione dichiarò il professore colpevole di “deviazionismo” dalla “verità integrale della Chiesa, revocandogli la missio canonica (l’autorizzazione all’insegnamento della teologia ufficiale). Sembra che, secondo voci autorevoli della curia vaticana e dell’arcidiocesi bavarese, questa prima condanna, avvenuta durante il pontificato di Giovanni Paolo II, una condanna di alto valore simbolico perché rivolta ad uno dei più autorevoli personaggi del pensiero progressista cattolico, sia stata voluta ed orchestrata da Ratzinger, collega di Küng a Tubinga a cavallo dei moti del ‘68. A quell’epoca l’aula del futuro papa era semivuota, mentre quella del professore stracolma, poiché questi portava avanti idee innovative che hanno sempre conquistato i cuori dei giovani.
Non a caso Ratzinger fu compiaciuto per il provvedimento, quando affermò al riguardo: “Il credente cristiano è una persona semplice, e i vescovi devono salvaguardare la loro fede dal potere degli intellettuali” . Ma il testo che maggiormente produsse diatribe a non finire fu il programma di restaurazione medievale esposto nel libro Rapporto sulla Fede del 1985, laddove Ratzinger, invoca e riafferma, di concerto con l’Opus Dei, l’assoluto potere della Casta Ekklesiastica, per eliminare qualsiasi residuo di apertura democratica voluta da Giovanni XXIII nel Concilio Vaticano II. In riferimento al Rapporto, Küng appuntò: “Mi rattrista e insieme mi fa arrabbiare quello che negli anni Ottanta sta avvenendo nella nostra Chiesa, dopo le tante speranze suscitate negli anni Settanta dall’esplosione conciliare”. In particolare egli scrisse, senza mezzi termini: «Joseph Ratzinger ha paura. E come il Grande Inquisitore di Dostoevskij, niente egli teme più della libertà. Ritorna la vecchia musica di Roma: a Ratzinger il potere curiale appare di nuovo un privilegio divino; la critica e l’opposizione non sono previste. (…) Il “Prefetto della fede” difende la necessità della scomunica che, mai pronunciata contro delinquenti “cattolici” ben noti come Adolf Hitler e i dittatori latino-americani, qui viene chiaramente minacciata nei confronti dei teologi cattolici critici (…)
Non si brucia più nessuno; ma, se è necessario, si è pronti ad annientare psichicamente e professionalmente. (…)
I metodi sono i soliti: la demonizzazione dell’avversario come causa di confusione, che si permetterebbe di turbare il sacro ordine. (…) Non di rado il ricorso ad ambigue contrapposizioni e a falsi fronti, che avvertono ovunque odore di eresia. Si riflette qui l’arroganza del potere: ora l’ex professore nega dall’alto qualsiasi autorità teologica alle conferenze episcopali (scomode): (…) crede di potersi presentare al mondo come la norma incarnata dell’ortodossia cattolica: “La vèritè catholique c’est moi [La verità cattolica sono io]. (...)
Viene in mente l’abbastanza spesso proclamata simpatia del Vaticano per i regimi cattolici totalitari e per il concordato con Hitler (1933), che ancora oggi assicura alla gerarchia tedesca, giuridicamente e finanziariamente, una intoccabile posizione di potenza nella società, quasi uno ‘Stato nello Stato’. (…) Il tragico silenzio e l’accondiscendenza dell’episcopato tedesco nei confronti del nazismo (…)» .
L’Inquisizione, pertanto, ha cambiato soltanto i metodi e il nome, ma non certo i propri fini e i propri principi: “procedura segreta, rifiuto della visione degli atti, dell’assistenza giuridica e dell’appello: la stessa autorità accusa e giudica. È tornata a lavorare – continua Küng – a pieno regime, specialmente contro i moralisti nord-americani, i dogmatici dell’Europa centrale, i teologi latino-americani e africani della liberazione”. Egli lamentava, oltretutto la pericolosissima ingerenza dell’Opus Dei non solo a livello dottrinario, ma anche finanziario (era ancora in corso lo scandalo IOR-Marcinkus-Calvi-Sindona): “viene favorita con tutti i mezzi l’organizzazione segreta spagnola Opus Dei, un’istituzione teologicamente e politicamente reazionaria, immischiata nelle banche, nelle università e nei governi, che ostenta tratti medievali e controriformistici e che questo Papa [Wojtyla], il quale le era vicino già a Cracovia, ha sottratto al controllo dei vescovi [nominandola Prelatura personale, ossia un’organizzazione segretissima che rende conto unicamente al Papa]”.
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